Onorevoli Colleghi! - È nota la situazione di particolare difficoltà in cui si trovano numerose aziende che vantano crediti, sorti in base alla legge, a contratto o ad altro titolo valido, nei confronti delle pubbliche amministrazioni statali o di enti pubblici. È infatti aumentata la lentezza con cui la pubblica amministrazione provvede al pagamento di fatture per prestazione di servizi o al rimborso delle imposte dirette e indirette versate. Tale stato di cose sta creando notevoli problemi per l'imprenditoria in generale e, in particolare, per la piccola e media impresa che ha notoriamente maggiori problemi di liquidità. Un esempio è quello relativo ai rimborsi dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), per i quali tuttora esiste un rilevante arretrato. Altri casi sono relativi al saldo di fatture per prestazioni di servizi a pubbliche amministrazioni o ad enti del Servizio sanitario nazionale, su cui si registrano i ritardi e le inadempienze più pesanti.

 

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      I motivi di tali difficoltà sono di ordine amministrativo, ma anche di natura finanziaria, a causa di restrizioni di cassa insorte nell'ambito del più generale processo di risanamento della finanza pubblica.
      La situazione attuale è di emergenza: le associazioni imprenditoriali denunciano che in tutte le regioni italiane l'attesa media per i rimborsi fiscali e la regolarizzazione di pagamenti è superiore a due anni. In attesa di pagamenti o di rimborsi, numerose imprese sono nel frattempo costrette ad indebitarsi, chiamate loro malgrado ad un prestito forzoso a favore delle casse dell'erario. Il tutto mentre la concorrenza internazionale si fa ogni giorno più agguerrita e i nostri partner comunitari riescono ad ottenere dalle loro amministrazioni pagamenti e rimborsi IVA in tempi notevolmente più rapidi e quindi concorrenziali.
      Oggi i ritardi dei pagamenti sono un problema di dimensione europea, se è vero che l'Unione europea è intervenuta per limitare i danni derivanti dai ritardi di pagamento con la direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 giugno 2000, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. La direttiva è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231: la nuova normativa prevede che dal giorno successivo alla scadenza dei termini stabiliti in contratto siano dovuti gli interessi moratori; salvo diverso accordo, la scadenza è fissata a trenta giorni dalla prestazione del servizio; tale nuova disciplina si applica sia ai contratti che le imprese stipulano fra loro sia ai contratti stipulati con la pubblica amministrazione, centrale e locale.
      Il recepimento della direttiva europea sui pagamenti impone, comunque, alla pubblica amministrazione il rispetto di tempi ravvicinati nel saldo delle fatture; ma nell'attuale situazione è purtroppo prevedibile l'insorgere di un ampio contenzioso nei confronti di numerosi enti della pubblica amministrazione, incapaci di adeguare la propria liquidità alle nuove esigenze.
      In tale senso va la previsione (articolo 2 della proposta di legge) di una compensazione tra crediti e debiti verso le varie pubbliche amministrazioni. Infatti, mentre alcune amministrazioni pagano con notevole ritardo, i ritardi dell'imprenditore contribuente non sono ammessi e sono sanzionati con efficacia e severità. Ma appare ingiusto che gli imprenditori che vantano crediti annosi verso la pubblica amministrazione debbano sottostare a problemi di liquidità senza poter usare i medesimi crediti in compensazione con i propri debiti (per INPS, IVA, IRPEF, eccetera). La possibilità di compensazione, invece, ferma restando la dinamica economica dei costi e dei ricavi, sposta l'onere della disfunzione finanziaria, attinente allo scollamento temporale tra entrate ed uscite, perché non lo fa gravare più sull'impresa, ma sullo stesso settore pubblico: non si capisce perché, infatti, i ritardi di pagamento del settore pubblico debbano gravare impropriamente sul settore privato.
      Secondo la stessa logica, l'articolo 3 rende possibile l'utilizzo di questi crediti «incagliati» quale garanzia verso le pubbliche amministrazioni. Spesso all'imprenditore sono richieste garanzie e talvolta non solo per la fornitura di beni e di servizi, ma anche per concessione al medesimo delle agevolazioni, soprattutto se di tipo discrezionale o valutativo. La conseguenza paradossale è che il privato che attende di essere pagato dalla pubblica amministrazione, che è pagatore generalmente reputato lento ma sicuro, deve fornire alla stessa pubblica amministrazione garanzie sulla sua solvibilità piena e tempestiva, stipulando costosi contratti bancari o assicurativi. Appare dunque un equo rimedio quello di consentire che i crediti scaduti possano essere opposti alle richieste di garanzia.
      L'articolo 4 fissa ancora due disposizioni strumentali, la cui utilità è indiretta ma non minore. La prima prevede l'obbligo per ciascuna amministrazione di pubblicare annualmente l'ammontare dei debiti in ritardato pagamento. Questa pubblicizzazione, infatti, è efficacemente dissuasiva
 

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e permette confronti tra amministrazioni e nel tempo.
      L'articolo 6, disposizione transitoria, specifica l'inizio della decorrenza di tale obbligo.
      La seconda previsione è quella di ampliare i diritti di accesso agli atti per consentire la più agevole verifica dei criteri e delle modalità di rimborso dei crediti da parte delle pubbliche amministrazioni: la trasparenza amministrativa rinforzata, infatti, renderà assai improbabile l'adozione di criteri di rimborso poco trasparenti o congruenti, in quanto le amministrazioni stesse saranno soggette ad accesso da parte degli interessati. In questo senso, e per evitare equivoci, la possibilità di accesso è espressamente estesa alle associazioni di categoria, da un lato per scongiurare che lo stato di soggezione in cui si possono trovare le singole imprese vanifichi lo strumento della trasparenza, dall'altro perché le associazioni medesime, quali portatori di interessi collettivi di categoria, possono assumere un ruolo più incisivo e tutelare posizioni talora anche divergenti dagli interessi di singoli imprenditori i quali, in ipotesi, si trovino ad essere ingiustamente avvantaggiati.
 

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